venerdì 6 febbraio 2015

COMUNICATO STAMPA 06-02-2015


COMUNICATO STAMPA




La Prima  Giornata di preghiera contro la tratta delle persone, voluta da papa Francesco,  è stata promossa dalle Unioni internazionali femminili e maschili dei Superiori e Superiore Generali. In particolare dall'Usmi, Unione Superiore maggiori d'Italia e da Talitha Kum, la Rete internazionale della vita consacrata contro la tratta di persone. Domenica mattina, 8 febbraio, in tutte le parrocchie sono previste  preghiere specifiche e sarà chiesta  l'intercessione di Santa Bakhita. Di seguito la riflessione di S.E. mons. GianCarlo Bregantini, Presidente della Commissione CEI per i Problemi Sociali, il Lavoro, Giustizia, Pace e Salvaguardia del Creato.
Creati l’uno per l’altro
 «La bellezza non ha che l’amore per ammiratore. Essa è come un barlume preso in prestito al paradiso per illuminare il mondo. E la donna, la sua presenza nella creazione, il suo grembo che porta la vita, rappresenta il respiro del firmamento. Respiro che in più parti del pianeta viene ancora terribilmente reciso dal traffico della violenza. La giornata di oggi, infatti, è stata investita per la prima volta come la “domenica al femminile”, in cui a livello mondiale si lotta contro la tratta delle donne, lo sfruttamento, il maltrattamento su di esse. E’ un momento in cui tutta l’umanità deve chiedere perdono per tutte quelle donne vittime di abusi sessuali, rese “merce” di piacere, di dissolutezza. Ed è chiamata a farlo, mettendo fine con maggior consapevolezza e decisione a questa oppressione.
Il grido delle donne violate nella loro innocenza è, assieme a quello dei bambini, quello più atroce che si eleva dalla polvere di esistenze, di dignità schiacciate sotto il peso della brutalità. La giornata mondiale contro la tratta delle donne non a caso coincide oggi, otto febbraio,  con la festa di santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese poi divenuta religiosa canossiana. Era una bellissima ragazza, sudanese, nata nella tribolata regione del Darfur. Rapita da trafficanti di schiavi, venne venduta a feroci padroni, fin dall’età di nove anni, per essere poi rivenduta ad altri padroni, in una serie impressionante di sevizie e maltrattamenti. Finalmente, per vie misteriose, fu condotta a Venezia e qui, in aiuto ad una famiglia veneta, paterna ed amabile, ebbe la grazi di conoscere la fede cristiana e di seguire anche la vocazione religiosa, facendosi religiosa nella congregazione delle Suore canossiane. Divenuta così, proprio tramite tutte dolorose vicende, finalmente “libera figlia di Dio”, non solo non conservò rancore nel suo cuore di donna violata, ma desiderò porsi al servizio dei piccoli e delle altre ragazze segnate in vario modo dalla stessa tragica violenza maschile. Testimone di speranza, dentro uno dei drammi più tragici del nostro tempo, la tratta delle donne, che grida al cospetto di Dio.

Una figura femminile che mi fa tornare alla mente un ricordo particolare della mia infanzia, poiché a guidare con mano materna e tenera l’asilo del nostro paese di Denno erano appunto le suore canossiane, di cui conservo memoria gratissima. Soprattutto di una suora, Madre Albina, che aveva appunto lo stesso nome di mia mamma. Le sono sempre stato vicino, con visite frequenti anche in età avanzata, in quel di Verona. Ebbene, si racconta che un giorno quella giovane suora africana fu mandata un periodo proprio in aiuto all’asilo di Denno. Siamo negli anni trenta. Immaginate lo stupore, non solo dei bambini, davanti a questa figura femminile di colore e di bellezza nera. Mai si era vista in paese una donna africana. Per questo, si narra che i piccoli le andavano vicino a strofinarle con delicatezza la mano, per accertarsi cioè se quel nero non fosse colore di fumo, appiccicato dal tempo!

Ma al di là della simpatica scenetta, che fa sorridere con tenerezza, possiamo veramente dire che quella donna, segnata dalla violenza maschile, oggi si fa segno di un riscatto che la nostra società deve con decisione porre come uno degli obiettivi più tenaci, per un cammino di liberazione  sociale molto più vasto. Lei è testimone esemplare di speranza, per le numerose vittime, contro questa piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, piaga atroce nella carne del Cristo!

Quante le rose tranciate nel giardino della bellezza da mani crudeli! Non è più tollerabile che la donna sia resa schiava della prostituzione, piagata di maltrattamenti da gente traviata, che sicuramente davanti al giudizio di Dio non avrà scampo, né scuse né vie d’uscita, finché non si rimedierà al male imposto! Poiché la donna è stata voluta dal Creatore, più di ogni altra cosa, per completare il capolavoro di tutto l’universo e soprattutto per dare “dimora sicura” alla vita stessa. Lei occupa un posto unico nel Suo cuore.
Finché però l’uomo non prende coscienza di questo, continuerà a sciupare questo dono di nome “donna”! Con la donna accanto è stata possibile la nascita dell’umanità, la prosecuzione straordinaria del genere umano. Senza la donna non c’è vita! Senza la donna neanche l’uomo esisterebbe più! Ecco perché va difesa come la propria vita! Perché in ogni donna c’è racchiuso il “si” al futuro, al flusso della continuità. E’ lei lo scrigno di Dio, in cui Egli ha riposto i segreti della Sua dolcezza, l’evento perenne della Sua tenerezza. Per capire come Dio ama, occorre allora contemplare la donna, il suo modo di far conoscere l’amore, come ragione fondamentale dell’alleanza divina. Dio infatti, il sesto giorno, ha compiuto la donna nel silenzio tipico di chi ama e vuole donare qualcosa di speciale,  “dono per l’uomo”, regalo che Dio ha fatto personalmente all’uomo perché lui non sentisse il morso della solitudine, il tedio del vuoto. La costola con cui Dio la plasmò, divenne così la casa per l’uomo! Rispettata e custodita, con amore verginale!».



L’Addetto Stampa
Rita D’Addona 

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