martedì 27 novembre 2012

Punto Luce "Siate santi perché io sono santo" (Lv 19,2) - La santità - di suor Nunziella Scopelliti


       
"Siate santi perché io sono santo" (Lv 19,2)

La santità

                                                                                                                                              Conversazione di sr. Nunziella Scopelliti                                

                                                                                                                                                          Incontro dei Cenacoli del Bell'Amore
                                                                                                                                                          Baida-Palermo, 1° maggio 2004
                                                                                                                                                          (Trascrizione da registrazione)


Ci ritroviamo ancora insieme, ma il mistero che ci unisce fa sì che noi siamo insieme sempre. Questa comunione non è frutto del nostro impegno, ma è un dono di Dio- possiamo accoglierla in noi come dono - viene da Gesù, che ci ha salvati e redenti.
La santità è un nostro preciso dovere, ma non è in nostro potere, non è un nostro impegno; e allora, le virtù: le virtù morali, le virtù sociali, di cui parlava così tanto animatamente il Cardinale? Certamente sono importanti, ma non sono la santità; certamente possono essere una caratteristica dei cristiani, ma non sono la vita cristiana nella sua vera essenza. Ma voi, cosa credete, che gli atei siano dei mascalzoni? Ci sono delle persone atee moralissime! La vita morale, la giustizia, le virtù riguardano tutti gli uomini e tutte le donne indistintamente e interessano il cammino di tutte le religioni. La santità, però, non è l’impegno duro e costante per diventare buoni.
"Siate santi perché io sono santo" (Lv 19,2): che senso ha quest’affermazione della Scrittura? "Siate santi perché io sono santo": noi non possiamo avere una santità personale, nostra, che si contrapponga quasi a quella di Dio, quasi da diventare i rivali di Dio, chi come Dio?
Se io riuscissi a dire a me stessa, prima che a voi, stasera, quello che vo­glio dire, sì da convincermi e da convincervi, penso che lo Spirito Santo si trove­rebbe bene nei nostri cuori e la nostra vita si incamminerebbe in un modo ancora più veloce verso la sua vera meta: Dio.
Siamo nati per Dio, veniamo da Dio e a Dio torniamo. Dice la prima let­tura dell’Ufficio di oggi, dalla Lettera agli Ebrei, che dall’invisibile sono venute fuori le cose visibili, dall’invisibile è venuto fuori il visibile, e il visibile è la crea­zione, il visibile siamo noi, il visibile è ciò che vediamo, tocchiamo. Allora, c’è da pensare che il cammino di ritorno verso Dio è al contrario: dal visibile verso l’invisibile; la manifestazione di Dio va, anche nella storia sacra, dal visibile verso l’invisibile: prima la creazione, l’arcobaleno segno dell’Alleanza, poi la Legge mosaica e infine lo Spirito Santo nei nostri cuori: ecco l’Invisibile; dall'arco-baleno al segno… all’Invisibile.
Allora, la visione di fede deve aiutarci a pensare con altre categorie, per poter cogliere Dio e la santità da un’altra ottica. Vorrei, in questo momento, essere in comunione con Maria, da renderla presente, così come la descrive Newman, quando dice di lei che non solo ha la fede che la porta a far aderire la ragione alla fede, ma ha anche quella fede che porta la ragione a ragionare sulla fede, in tal modo mette insieme la fede dei semplici e la fede dei dottori della Chiesa: ecco Maria per Newman.
E allora, cerchiamo di chiudere gli occhi dell’intelligenza, come dice San Gio­vanni della Croce, per credere, ma ad un tempo cerchiamo di ragionare sul dato di fede. "Siate santi perché io sono santo" che vuol dire? Che noi possiamo avere una santità nostra? No. Pensavo: "Dopo tanti anni di vita, dopo pochi anni o molti anni di fondazione - dieci anni nemmeno compiuti, non sono tanti - io debbo costatare di non essere santa, costato di avere dei limiti"; ma quanti di voi qui presenti non potrebbero dire la stessa cosa, o dire che non sono contenti di loro, che vorrebbero essere migliori, che non riescono a liberarsi da certe inadempienze… Mi sono detta, ieri o avantieri: "Questa è una cosa meravigliosa". Il fatto di avere dei limiti, il fatto di ritrovarsi inadempienti, il fatto di sentire che non si è santi, il fatto di ritrovarsi, dopo una lunga vita, difettosi, di avere l’impressione che la vita sta passando, che ormai andiamo verso la vecchiaia, o che la vecchiaia l’abbiamo già raggiunta e non abbiamo concluso quasi niente, tutto questo, che noi possiamo chiamare, a volte, fallimento, che può renderci insoddisfatti, è una cosa meravigliosa, è utilissimo per la vera santità. Molti peccatori, secondo me, sono molto più avanti, nel cammino della santità, delle persone che hanno il sentimento del proprio valore morale e spirituale. Un qualche sentimento, una qualche coscienza della propria virtù, del proprio valore morale e spirituale praticamente allontana molto di più da Dio del sentimento sincero del proprio peccato, perché il sentimento sincero del proprio peccato avvicina a Dio, il sentimento della propria bontà, della rettitudine del proprio comportamento non è detto che avvicini a Dio; ma noi facciamo una fatica enorme a capire questo. Io per prima, che vi parlo, posso soggiacere alla tentazione di volermi comportare bene e di voler far dipendere la mia santità dalla mia virtù.
Ditemi: avete voi, in questa stanza, la coscienza e il ricordo di voi stessi, della vostra persona? Vi ricordate di esserci? Vi ricordate delle vostre difficoltà, delle vostre prove, delle vostre preoccupazioni, delle vostre sofferenze, dei vostri peccati, dei vostri limiti, di voi stessi? Se vi ricordate, se ci ricordiamo di noi stessi, siamo ancora molto lontani dalla santità, perché la santità è estasi d’amore, è quello che diceva Teresa d’Avila: "Non mi ricordo più di esistere". La santità è la vita di Dio in noi, che non viviamo più la nostra vita e non ci ricordiamo più della nostra piccola vita. La santità è l’infinito nulla che finalmente può accogliere l’infinito Tutto, ma finché non c’è né il nulla, né l’infinito nulla e c’è una qualche virtù, bisognerà che ci sia tutta un’opera di demolizione e i "buoni", i cosiddetti "buoni", in questo, spesso e volentieri sono molto più svantaggiati dei cosiddetti "cattivi". Con questo, non vi voglio invitare a peccare fortemente, ma ad avere le idee chiare sulla fede, ad aprirvi alla speranza e alla carità e a dare il giusto posto alle virtù teologali: fede, speranza e carità, e non a quelle morali: giustizia, bontà, ecc. Poi, è chiaro che se tu accogli la vita di Dio in te, ti comporterai di conse­guenza bene, ma è una conseguenza; se tu, invece, pensi che comportandoti bene, con le tue forze, arrivi a Dio, è una presunzione.



        






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