lunedì 11 maggio 2009

Pellegrinaggio Diocesano "Sulle orme di San Paolo"

Pubblichiamo la testimonianza del nostro amico Vincenzo che ringraziamo per averci fatto parte della sua esperienza del recente Pellegrinaggio Diocesano.

"Nel recente viaggio sulle orme di San Paolo, effettuato dalla nostra Diocesi per festeggiare l’anniversario dell’Apostolo delle Genti, siamo stati gratificati spiritualmente, grazie all’eccelsa guida spirituale del nostro Pastore, ma abbiamo parimenti goduto di un Paese ricco di grandi attrattive turistiche, che stanno facendo della Turchia uno dei paesi turisticamente più ambiti.
La Turchia, ponte tra Oriente ed Occidente, conserva su tutto il suo territorio le tracce delle più antiche civiltà del mondo, un patrimonio storico-culturale ricchissimo, una posizione geografica straordinaria, una natura pura e incontaminata.
Ma una nota dolente ha contraddistinto il nostro pellegrinaggio e ci ha pervasi di tristezza tutti noi. Giunti ad Antiochia di Siria, ci siamo ritrovati in una comunità di solo 70 cristiani, lì dove si conserva la memoria della primitiva chiesa di Gerusalemme, rifugiatasi ad Antiochia a seguito dell’uccisione di Stefano e della persecuzione dei primi cristiani.
Il nome “cristiano” viene coniato proprio ad Antiochia. In questa città ricca di rovine romane, è nata la chiesa primitiva sotto la guida di S. Pietro e di S. Paolo. Una chiesa la cui professione di fede si è affievolita nel corso dei secoli fino ad annientarsi del tutto.
A Tarso, città natale dell’apostolo missionario, solo due cristiani: le due suore bergamasche che possono fare ben poco. Un giorno una delle due suore giocava con una palla con una bimba davanti alla loro cappella allorché sopraggiunse il sindaco di Tarso che rimproverò la suora perché con la scusa della palla intendeva fare proselitismo! Qui si avverte drammaticamente la conflittualità con il mondo islamico, che è geloso della propria religione islamica.
Ad ogni modo, ripercorrendo con varie ore di aerei e pullman, tutto il percorso dell’apostolo S. Paolo, abbiamo potuto verificare l’audacia, il coraggio e la grande fede di quest’uomo che, privo dei nostri moderni mezzi di trasporto, solo a piedi o in barca, ha percorso migliaia di chilometri per diffondere la buona novella al mondo allora conosciuto.
Ad Efeso abbiamo potuto sperimentare l’altra prova di Maria, l’esilio dalla sua terra in compagnia dell’apostolo Giovanni, sulla cui tomba ci siamo fermati in preghiera.
E, allora, stretti nel disagio di non poter rivivere in questa terra musulmana, culla del cristianesimo, la nostra fede negli antichi luoghi di culto, ora divenuti musei, ci rimane il conforto della gradita udienza con Bartolomeo I a Istanbul, con lui abbiamo sentito riaffiorare l’orgoglio di essere cristiani e lo scandalo di essere divisi fra noi.
Quando ho chiesto a sua santità il patriarca ortodosso quando potrà aver fine questa nostra divisione, mi ha invitato a pregare, solo a pregare affinché possiamo tornare ad essere uniti.
Commovente è stato il suo richiamo affettivo a Chiara Lubich e la sua promessa di tornare nell’unico ovile.
Nel contesto in cui attraversavamo l’“aridità” di una terra a noi ostile, ci siamo ritrovati maggiormente uniti fra noi nella nostra fede, con il nostro Vescovo che ci rileggeva tutte le epistole paoline e ce ne spiegava il senso teologico. Si direbbe, che abbiamo tenuto i nostri esercizi spirituali sul pullman e officiato nella più alta contemplazione le sante messe nei saloni degli alberghi.
Personalmente, senza avvedermene, ho vissuto appieno la parola di vita del mese “usando bene i doni di Dio e mettendo al servizio degli altri i carismi ricevuti”.
Sapevo che la presenza del Vescovo era un valore aggiunto al pellegrinaggio e la sua amicizia e le sue meditazioni hanno coinvolto tutti. Si è verificato che io entravo spesso ad interferire nelle meditazioni e nelle osservazioni del nostro Pastore integrandole delle mie personali vedute o esperienze di vita, rimanendone tutto l’uditorio molto colpito. Il mio pormi al servizio di tutti e il mio farmi tutto a tutti non è stata furba tattica diplomatica per simpatizzare con gli amici del gruppo ed essere in sintonia e amicizia fraterna. Ero pieno di grazia per l’opportunità di vivere in modo esaltante l’esperienza religiosa che ci coinvolgeva tutti, ma io ne ero completamente pervaso. Non ero più io che agivo; era solo frutto della grazia.
Insomma, quando ci è capitato di unirci in albergo con un gruppo di pellegrini milanesi, desiderosi anch’essi di celebrare insieme l’Eucaristia, il Vescovo ha voluto che fossi io a presentare il nostro gruppo e a spiegare il senso del nostro pellegrinaggio. Tanti amici mi chiedevano insistentemente da cosa traesse spunto la mia fede, rispondeva loro che la mia coerenza a Cristo mi obbligava ad essere in sintonia col vangelo, altrimenti vivevo già il mio inferno in terra, perché tradendo chi mi è di guida e che da senso ai miei giorni, mi rendono privo di entusiasmo e di gioia.
Nei momenti morti del viaggio ho creduto di mettermi anche in gioco con gli amici facendoli divertire con i miei stornelli ironici riguardanti tutti noi del gruppo. Ara anche questa una forma per manifestare nella gioia la nostra unità piena.
Ma se io ero animato dall’euforia di vivere nella grazia il pellegrinaggio, l’amica Astrid, voluta caparbiamente dal Vescovo nel pellegrinaggio, tornata dopo tanti anni nella sua terra turca, è stato il vero motore del gruppo. Ci è stata di aiuto come interprete, ma anche per farci capire la mentalità del luogo, sempre serena e disponibile. Sicché, una delle ultime sere ci siamo ritrovati insieme in albergo a fare il bilancio del viaggio. Molti hanno chiesto al Vescovo come poter vivere pienamente la propria fede e dare vigore alla propria testimonianza nella rispettiva parrocchia.
Ebbene, non me lo aspettavo proprio, additando Astrid e me, consigliava di entrare in un gruppo per sentirsi più ferventi, come io e Astrid lo siamo nei focolarini, così altri possono trovare o ritrovare il proprio senso di essere cristiani oggi negli altri movimenti presenti a Campobasso, per sentirsi comunità viva e partecipare alla vita della Chiesa attivamente".

Vincenzo


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